Molte aziende italiane si stanno ponendo il problema della modernizzazione dell’infrastruttura gestionale; ci si chiede addirittura quanto possa essere gravoso traghettare gli applicativi e i sistemi che sono stati per anni, spesse volte decenni, il cuore (virtuale) dell’azienda verso funzioni e ambienti “moderni”. Un dubbio legittimo che, però, se ne porta dietro uno più pericoloso: se non valga la pena sostituire del tutto l’esistente per cercare di sfruttare le potenzialità della digitalizzazione.
Sta proprio nella parola magica “digitalizzazione” l’origine e il senso delle domande che si pongono le imprese in questa fase di evoluzione del mercato e delle tecnologie. Il “nuovo” - quale esso sia, a seconda del settore in cui l’azienda opera - appare come l’unico elemento in grado di aumentare la produttività, incrementare l’efficienza interna e migliorare la gestione dei costi. Sull’altro piatto della bilancia resta il “vecchio” - e nuovamente questa definizione è molto vaga - che sembra essere diventato un’inutile zavorra per lo sviluppo dell’azienda utente.
Il pragmatismo ci porta rapidamente a concludere che una contrapposizione così netta sia più teorica che pratica. Altrimenti nessuna infrastruttura IT d’azienda sopravvivrebbe alle ondate di rinnovamento che periodicamente, e sempre più frequentemente, la investono. In realtà, il criterio principale chiamato a guidare la scelta tra cambiare gestionale o modernizzare i sistemi in uso dovrebbe essere uno soltanto: favorire la crescita potenziando i punti forti che le soluzioni già hanno, eliminando i loro punti deboli.
Bisogna cioè partire da un’attenta analisi di ciò che l’azienda di volta in volta chiede ai suoi sistemi IT: capire se queste richieste possono essere soddisfatte, intervenendo sull’esistente in maniera semplice, o se invece siano necessari interventi più complessi e persino - ma quando è davvero necessario, non semplicemente sulla spinta delle mode tecnologiche - la sostituzione di alcuni elementi hardware o software dell’infrastruttura.
Il top management e il CIO (o il responsabile dei sistemi informativi) dovrebbero quindi interrogarsi sugli obiettivi che ciascuna funzione aziendale è interessata a perseguire, per poi verificare se e quanto il sistema in uso offra le funzioni necessarie. È in questa fase di analisi del problema modernizzazione che spesso ci si rende conto di come non sia tutt’oro quello che luccica. Nella gran parte delle imprese più che di “vecchio” bisognerebbe parlare di “storico”, perché i sistemi si sono adattati nel tempo al modo di lavorare dell’azienda e lo rispecchiano. Il “nuovo” non ha questa caratteristica e potrebbe imporre l’esatto opposto, cioè che sia l’azienda ad adattarsi al suo modo di intendere i processi e anche l’operatività di tutti i giorni.
Guardando all’evoluzione tecnologico-applicativa, da questo punto di vista, si vede come la sostituzione dei sistemi abbia un costo implicito in termini di sviluppo, personalizzazioni, competenze e conoscenze che si sono accumulate negli anni e che vanno ora persi. Non è un costo in assoluto ingestibile, e può anche essere giustificato, ma va evidenziato e considerato come qualsiasi altro, raffrontandolo ai benefici portati da un’eventuale nuova soluzione.
Tali benefici, peraltro, non sono necessariamente preclusi ad ambienti operativi “collaudati” e anche di questo bisogna tenere conto nella valutazione delle possibili alternative. È sicuramente vero che elementi come l’utilizzo multipiattaforma, la “mobilizzazione” delle applicazioni e il cloud siano evoluzioni che stanno modificando le regole del gioco nella fruizione dei sistemi aziendali. Ma non è altrettanto vero che queste evoluzioni siano impossibili da seguire per le piattaforme meno che recenti. Se molte imprese lo pensano è perché non sempre si ha una visione precisa di cosa permettano le tecnologie e le soluzioni per la modernizzazione dei sistemi. Oggi anche quelli più tradizionali possono essere “aperti” e diventare capaci di generare flussi di informazioni da condividere velocemente con tutti gli interlocutori interni ed esterni all’azienda, in una logica sempre più critica di supply chain estesa. Danno nuovo valore a tutti gli investimenti profusi nel tempo.